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Meravigliosi Castelli delle Marche

Durante il mio viaggio nelle Marche mi addentro alla scoperta del cuore di questa regione, curiosando nell’intimità della sua storia quotidiana, dell’arte più povera, delle credenze popolari lontane dai grandi eventi ma espressioni della vita vera di un tempo. Il percorso mi porta a visitare i Nove Castelli di Arcevia; realtà preziose dove il tempo sembra esserci sospeso. Immagino la vita di un tempo, dal 1000 d.c. in poi perché qui non è difficile immersi in un silenzio antico, un silenzio d’altri tempi.

Seguendo percorsi lontani dalle strade usuali, immersi in fittissimi boschi, siepi selvagge, uliveti, mi appaiono piccoli paesi che formano come un piccolo anello intorno ad Arcevia: i Nove Castelli, piccolissime realtà che bisogna cercare, ma che vale la pena di vedere per la loro bellezza tuttora intatta. Passeggiando sotto le mura fortificate, tra i torrioni, per i vicoli angusti, ed entrando nelle chiese, non è difficile respirare la vita di un tempo. A pochi km dalla Gola della Rossa, un Parco naturale rigoglioso di boschi, mi stupisce la bellezza incotaminata di Avacelli. Mi incammino lungo le poderose mura in pietra, entrando dalla trecentesca porta di ingresso e subito mi accoglie una piccola piazza dove si affaccia la chiesa di San Lorenzo risalente al 1400: all’interno, mi sorprende un inaspettato e spettacolare dossale in terracotta dipinta rappresentante la Madonnina della Misericordia. Mi accorgo che è piacevolissimo passeggiare per questi vicoli strettissimi e senza accorgermi arrivo ai piedi della collina, in una valle appartata, nella boscaglia, dove si erge la chiesa di Sant’Ansovino del 1000, unico esempio romanico nel luogo, di proprietà dell’Ordine dei Templari.

Lascio alle mie spalle questa gemma, per incontrarne un’altra a breve distanza, Castiglioni. A ridosso del fiume Misa, all’apice di una collina, compare con le sue mura del’400, mentre una porta fortificata mi accoglie all’interno di questo castello. Il panorama è stupendo, ricco di un paesaggio suggestivo in cui natura selvaggia e natura curata dall’uomo si integrano, raccontando la storia di questi luoghi. Un’agricoltura di piccoli mezzadri, di piccole famiglie che trovavano il loro sustentamento da una terra generosa: le case disseminate nella valle, i piccoli agglomerati ancora narrano quella storia antica e presente. Lascio questa fotografia dentro di me, per addentrarmi nell’intima atmosfera del borgo. Una piccola, umile chiesa cinquecentesca, custodisce con sorpresa un’opera del Ramazzani, la Madonna del Rosario, insieme con uno splendido crocifisso ligneo. Mi colpiscono queste opere minori che fanno correre la mia fantasia: la gente umile, lontana dalle grandi corti, trovava in queste opere minori, ma non per questo meno pregevoli, lo specchio dei propri sentimenti, speranze, angosce, desideri, preghiere. Camminando ancora, sino a fuori le mura, il mio sguardo è catturato dalla chiesa di Santa Maria delle Piane per la curiosa facciata rettangolare, mentre, appena entro, con meraviglia, gi affreschi eleganti di Andrea di Bartolo di Jesi illuminano l’intimità di questa piccola realtà.

Uscendo trovo che i vicoli si animano di gente cortese, curiosa di me ed io di loro; chiacchierando, mi accorgo che tutti si conoscono e, contenti di parlare, mi indicano una festa che si svolge a fine settembre invitandomi per la prossima volta: tutto il paese partecipa alla Festa del Pane, mettendo in funzione l’antico mulino e l’antico forno, inondando il borgo di genuini ed inibrianti profumi. 

Con dispiacere lascio i signori con la promessa di ritornare, proseguendo per la prossima meta, il più piccolo di tutti i castelli, Caudino, al quale si accede per una strada tortuosa. E’ una perla incastonata nella roccia. Perfettamente conservato, in inverno disabitato, si anima in estate con turisti che lo scelgono per questa infinita, antica pace: Il portale d’ingresso, le mura fortificate racchiudono una bella torre insieme con l’antica chiesa di Santo Stefano, arricchita da affreschi del 1500, raffiguranti la Madonna di Loreto.

Le sorprese non terrminano quando rimango senza parole, scorgendo Loretello: è una vera miniatura adagiata ed immersa nel verde della collina che ospita il borgo. Risale alla seconda metà del 1000, edificato dai monaci di Fonte Avellana, è il più antico e tra i più piccoli borghi. Ampliato più tardi, le sue mura fortificate ed il suo elegante ponte a tre arcate sono giunti intatti. Dopo brevi passi, si staglia il castello, ricco di feritoie ben visibili: mi colpisce la sua dimensione davvero piccola, ma soprattutto l’eleganza delle sue fattezze che sapientemente si uniscono ad una struttura militare..Il suggestivo silenzio, l’armonia delle sue forme fanno sì che non si vorrebbe abbandonare queste vie, se non per scoprire un bellissimo torrione a difesa della parte più esposta. L’antico Castrum Loreti, il cui nome venne dal disboscamento di allori sul poggio, nella sua forma triangolare, ma irregolare non finisce di stupirmi se ad ogni vertice ed ad ogni lato trovo torrioni di avvistamento, una lunga rampa su cui appoggiava il ponte levatoio dalla quale, a malincuore, esco, lasciando questa suggestiva atmosfera di un tuffo nel passato.

Riprendo il mio viaggio verso Montale. È un castello perfettamente mantenuto, la cui cinta muraria racchiude e protegge il borgo immerso in una quiete assoluta, dove camminare tra vie strettissime è un incanto per scoprire scorci meravigliosi sino a quando arrivo al campanile della Chiesa di San Silvestro. Stento a crederlo, ma, affacciandomi, posso scorgere il Conero con una vista sconfinata a perder d’occhio. Sembra che abbia visto da questo piccolo paese, pressochè sconosciuto, l’Italia dei monti, delle colline, delle pianure, del mare. Semplicemente incantata!

Entusiasta, mi dirigo a Nidastore, il più settentrionale, dal nome curioso e finalmente la vista del suo stemma è l’occasione per farmi spiegare l’origine del nome: nido degli astori, gli uccelli rapaci usati nel medioevo per la caccia e che qui avevano trovato un habitat a loro particolarmente congeniale. Soffermandomi nella piazzetta, anche l’Osteria del Nido astore cattura la mia curiosità. In una giornata pressochè estiva ho mangiato semplici piatti dai sapori della tradizione nella piazzetta del borgo. Atmosfera magica di altri tempi! Mal volentieri me ne sono andata salutando come vecchi amici i commensali della piazzetta, come se da sempre ci si conoscesse.
Superato San Pietro al Musio, il cui piccolo borgo è stato distrutto durante la seconda guerra mondiale, arrivo a Piticchio. E’ un castello, famoso più in Olanda che in Italia, essendo stato il teatro scenico di una famosa fiction dei Paesi Bassi; ma è famoso anche per la sua bellezza delicata ed incontaminata. Cammino in un silenzio surreale, interrotto dalle voci discrete dei pochi abitanti.

Intatte le mura che poggiano sulle pendici di una lieve altura, intatti i suoi camminamenti di ronda che consentono una lunga passeggiata coperta, con una vista dolce e rasserenante. Entrando dalla porta maggiore, mi appare il bellissimo arco gotico sul quale tardivamente venne costruita una torre dell’orologio. Ricco di palazzi signorili, il più bello in assoluto è quello della famiglia Carletti Giampieri con una particolarità: racchiude tra i più deliziosi e piccoli teatri al mondo, appena trenta posti. Entrarvi è stato come entrare nel mondo delle favole, e come per magia, mi ricordo Museogiocando, una ricchissima collezione privata di giochi antichi che qui ha trovato la sua sede naturale. Abbandono il mondo incantato dei giochi e le strade più recondite per dirigermi ad Arcevia: mano a mano che si sale verso il centro, il paesaggio diventa incantevole, sospeso tra gli Appennini e la costa adriatica, tra i monti Sant’Angelo e la Croce Incastonata sulle pendici del monte Cischiano, Rocca Contrada. 
L’antico nome “Arcevia“, tra diverse vicissitudini, godette dei favori papali tanto che per la sua fedeltà, fu annoverata tra le cinque più importanti città dell’attuale provincia di Ancona, forte di “1200 fuochi” circa cinquemila anime. Le lotte interne delle antiche famiglie signorili non impedirono ad Arcevia di espandersi e di assumere una certa importanza strategica ed economica. Del passato conserva l’impronta di un castello fortificato che seppe armonizzare i diversi stili architettonici in una piacevole visione; passeggiando per i suoi vicoli, per le sue strade, visitando il teatro, la Collegiata, ammirando le opere scultoree ed i dipinti si respira la vivacità di un presidio militare ricco di cultura. Mi rendo conto che vedere tutte le opere di “Contrada” è impossibile in poche ore e raccontarle qui ancor più mpossibile. Allora sono andata alla ricerca delle opere più significative, testimonianze di personaggi famosi, di artisti meno noti, ma altrettanto sorprendenti. Attraversando la città, l’impronta mediovale è intatta, è come se l’abitato da un asse centrale si diramasse a ferro di cavallo sulla cresta rocciosa. 
Giungo alla Collegiato di San Medardo, dedicata al protettore della città, edificata nella seconda metà del’600, con una particolare cupola in terracotta, poligonale, opera di un insigne, ma trascurato (ingiustamente) arceviese, Andrea Vici, allievo di Vanvitelli. Collaborò alla reggia di Caserta, oltre che alla Reggia di Versailles, fu ingegnere idraulicho, magnifiche e moderne le sue opere che invasero Marche ed Umbria. Severa nel suo aspetto esterno, la Collegiata, al suo interno mi sorprende per il Battesimo di Gesù nel battistero, un grandioso polittico su tavola, la Madonna col Bambino nell’abside; sorprendono per la loro delicatezza e grandiosità al tempo stesso, il senso della prospettiva così sapiente che riconducono ad un grande del Rinascimento che soggiornò ad Arcevia, Luca Signorelli. Non ho il tempo di staccare il mio sguardo da un tale capolavoro che vengo rapita dal Giudizio Universale, dal Battesimo di Ramazzani, nativo della città, spirito ribelle, di scuola lottesca: indubbiamente suggestiva la sua tela tra guizzi popolari ed intuizioni estremamente colte. Incalzante è la quantità e la qualità delle opere che la mia meraviglia non si interrompe di fronte alla dossale in terracotta smaltata dei Della Robbia, il pregevolissimo coro intagliato in legno. Uscendo, vedo l’insegna del Museo archeologico ed una frettolosa, purtroppo, visita mi riporta all’età del paleolitico e di tutte le successive ere che hanno in una raccolta completa e particolareggiata le loro testimonianze. La giornata calda, alleggerita da una impercettibile brezza, mi invoglia a continuare la mia passeggiata per arrivare alla piazza dove si erge imponente, ma elegante il Palazzo comunale: il medioevo sembra essere lì, a portata di mano, le sue merlature che incorniciano l’ultimo piano, due ordini di finestre a bifora, una torre elegante e snella, un arco ad ogiva all’ingresso, parlano di una storia lontana ma viva nel presente.

Le diverse ristrutturazioni trovano il loro apogeo nel Teatromisa, un vero gioiello che si trova, stranamente, all’ultimo piano. E’ una bomboniera come se ne trovano nelle Marche in cui l’impronta dell’architetto Ghinelli e di Luigi Mancini, detto IL SORDO uniscono insieme i vari teatri, in un gioco di agili architetture, di policromie geometriche e floreali che mi lasciano senza parole.

Il mio viaggio nel tempo e nello spazio delle Marche sconosciute lasciano un sottile rammarico di non aver potuto vedere tutto, ma lasciano anche il desiderio di continuare questo viaggio di storia e fantasia…

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