Le Grotte di Frasassi e il Tempio del Valadier

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Le Grotte di Frasassi e il Tempio del Valadier
Tra gole profonde, boschi rigogliosi, montagne rocciose, continuo il mio viaggio nelle Marche, nel cuore pressochè sconosciuto di questa regione se non fosse per uno degli spettacoli carsici più stupefacenti del mondo ipogeo, le Grotte di Frasassi. E’ una degna cornice, atmosfera silenziosa, splendidi panorami, quella in cui mi trovo a camminare prima di entrare nell’intimità della montagna per visitare le grotte. Innumerevoli le mie visite qui, eppure ogni volta l’emozione di immergermi in uno spettacolo senza pari si alterna ad un sottile timore, quello di profanare un mondo che proprio quella montagna ha gelosamente custodito da tempi immemorabili. All’ingresso, inaspettata, si apre una cavità immensa, l’Abisso Ancona, omaggio alla città di provenienza degli speleologi, autori di tale preziosa scoperta; ispirati da un grande senso di avventura, guidati da una profonda preparazione, da una curiosità indelebile furono premiati giustamente con il raggiungimento di un risultato eccezionale. La loro storia sembra davvero una favola.  

C’era una volta un ragazzo che scoprì sul crinale del monte Valmontagnana, durante una passeggiata, alcuni fori, ma uno soltanto, grande come un volante di un’auto, lo colpì particolarmente.

Avvertì allora il suo insegnante di speleologia che rimase un po’ dubbioso, ma anche fortemente incuriosito..Volle dare fiducia al suo allievo e di lì a poco accadde che una piccolo gruppo di esperti si incamminò verso la montagna. Giunti alla meta iniziarono a scavare, a spostare terra.

Continuarono con tenacia indomita il lavorio, si infilarono in un angusto tunnel, a fatica e, strisciando, arrivarono a qualcosa che assomigliava ad una piccolissima stanza. Decisero all’ora di pranzo di prender fiato e rifocillarsi. Sembrava che tutto fosse finito lì.

Un po delusi, esausti, si sedettero; alcuni di loro si appoggiarono, alla parete interna, ed all’improvviso sentirono brividi di freddo alla schiena mentre il fumo delle loro sigarette si disperdeva velocemente. Non era una magia, c’erano impulsi di aria! La stanchezza svanì ed, entusiasti, di buona lena, si misero a scavare fino a trovare quella che sembrava terra antica di riporto, una sorta di parete.

Come per magia le loro lampade non ne volevano sapere di restare accese tanto sostanziosi erano i soffi di aria che spiravano dai fori di quel muro. C’era aria!!! L’entusiasmo li prese di nuovo, lavorarono fino a tarda sera, con tenacia, anche quelle forze appena rimaste, come per incanto, diventarono vigorose ed audaci.

Finalmente riuscirono ad aprire un piccolo pertugio, così piccolo che nessuno riuscì a penetrare, ma un vento fortissimo investì gli indomiti, tanto da spegnere le loro lampade, tanto che i loro occhi non riuscivano a restare aperti. Capirono, inaspettatamente, increduli, che forse quella grotta tanto sognata, cercata da tutti da tanto tempo, era vicina a loro e si stava realizzando un magico sogno. La Grotta del Vento, come fu poi chiamata, era una realtà.

Entusiasmo, preghiere, salti di gioia accompagnarono, come in una fiaba a lieto fine, gli attimi che poi, in seguito, portarono alla scoperta di un mondo da favola.

Cercare di immaginare l’attesa del suono della monetina, lasciata andare dall’alto per calcolare così l’altezza della cavità in base al tempo di caduta, non è difficile; forse è difficile pensare che non ci si rendeva conto di essere vicini ad un tesoro della natura, ad una meraviglia inimmaginabile.

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Grotte di Frasassi
 

Tutto ebbe inizio da questa mastodontica caverna che ho davanti a me, quasi incredula di trovarmi sotto la superficie della nostra terra. Lancio il mio sguardo ed è un tempo lunghissimo che esso impiega per seguire la verticale dall’alto fino al pavimento, così per la circonferenza enorme è altrettanto lungo è il tempo che impiego per percorrerla tutta. In questo immaginario cammino lungo le pareti coperte da una coltre di di gesso, la mia vista, all’improvviso, è interrotta da massi giganteschi che potenti smottamenti, durante millenni, hanno fatto precipitare caoticamente; sono così imponenti che la mia fantasia rimbalza tra i ricordi di famosi versi omerici tanto che mi aspetto che prenda forma, dall’ombra della spelonca, un improbabile Polifemo nell’atto di scagliare quei massi contro un altrettanto improbabile Ulisse.

Stento a realizzare tali proporzioni se non quando sento che il Duomo di Milano può accomodarsi agevolmente qui ed allora davvero trova conferma quella strana sensazione di aver smarrito il senso del tempo e dello spazio.

In questa atmosfera sospesa le immagini rimangono impresse così forti nella mente che si affollano tra stupore , incredulità, pura emozione di essere testimone di uno spettacolo che ha le sue radici circa 140 milioni di anni fa.

E’ come se una voce narrante dall’oblio dei tempi ci parlasse di un antico mare qui presente, di corrugamenti sconvolgenti sino alla comparsa di rilievi montuosi, di un fiume, oggi Sentino, che un tempo scorreva più in alto, le cui acque fredde, incontrandosi con acque sulfuree, fu coautore di queste sale mervagliose.

La natura diventa qui una valente pittrice se riesce a dipingere una sottile fetta di pancetta dai colori rosei così invitanti da ritenerla, se fosse vera, tra le più buone per qualità, pronta per essere degustata.

Ecco che le spiegazioni chimiche, fisiche, geologiche qui diventano formule di pura poesia. Se vedo ad un tratto le sembianze di un’orsa, capisco che qui la natura è stata una valente scultrice, capace di immortalarla nella sua massiccia imponenza.

Dromedari, cammelli prendono magicamente forma davanti a me, scolpendo un mondo animale dei nostri tempi, dal mondo del ghiaccio a quello del caldo torrido del deserto. Da qui, nel grembo della nostra terra, rimbalzo nella nostra realtà, scorgendo le sembianze di un Canyon, rude nelle sue profonde fessure, mentre una imprevista cascata di stalagmiti, bianche di calcite, diventa subito le cascate del Niagara.

Sembra la scenografia di un film, un susseguirsi di inquadrature mastodontiche che si moltiplicano in piccole nicchie dove la fantasia degli uomini si è sbizzarrita con i nomi della nostra vita; ma il vero fascino è che ciascuno di noi può giocare con la propria immaginazione, con la propria sensibilità, quasi che noi, io che sto camminando qui, possa partecipare alla stesura del mio film, trovando una preziosa musa ispiratrice nella natura.

Passo davanti a stalagmiti e stalattiti gigantesche che, goccia dopo goccia, pazientemente sapienti architetti, l’acqua e la roccia, hanno costruito trasformandole in un imponente obelisco dalle fattezze eleganti e sobrie al contempo.

Bianco nel candore della calcite appaiono, adagiate su una parete verticale, affascinanti canne d’organo tanto perfette nelle loro fattezze che attendo il” la” di un fantasioso concerto.

L’incantesimo continua con il laghetto cristallizzato, una miniatura, con i Giganti, stalagmiti millenarie altissime, con la Spada di Damocle, davvero una splendida stalattite, gigantesca, quasi minacciosa dall’alto della volta… Scorci davvero mirabili quando mi sembra di vedere piccole, innumerevoli candeline e tale è la suggestione che, nella mia fantasia, si animano del tremore di piccole fiammelle; commovente l’immagine ieratica, dolce e solenne, della Madonnina degli speleologi, quasi a proteggere quel mondo stupendo, ma anche tanto fragile.

Il mondo dei bimbi, già magico di per se, trova la sua espressione nel bianco candido delle guglie, dei pinnacoli del castello incantato delle fatine, nel castello delle streghe, dai colori rossastri sulfurei, un po’ inquietanti che mi rimanda alla strega cattiva, la regina Grimilde, nella favola di Biancaneve

Mentre mi avvio melanconicamente all’uscita, penso che questo viaggio, per chiunque, per me certamente, sia stato un’occasione di emozioni trepidanti, un sussulto che tocca il cuore e la mente: fa riflettere che quel mondo, appena lasciato, esisteva già quando i dinosauri erano la fauna di allora, quando le piramidi, il Colosseo vennero eretti, testimoni di civiltà immense; esisteva quando il cristianesimo sconvolse la storia dell’uomo, quando il Rinascimento, la Rivoluzione francese lasciarono un’impronta indelebile nella storia, quando il Risorgimento attuava un sogno per la nostra Italia inseguito da troppo tempo, fino all’impronta del primo piede dell’uomo sulla luna.

E’ stato un viaggio dell’animo se mi porta a pensare quale maestra insigne ho avuto qui, davanti a me, laboriosa nel suo lavoro perenne di anni lontanissimi, infaticabile autrice di armonie perfette, pronta a rigenerarsi nei suoi equilibri dopo cataclismi catastrofici. Diventa davvero un esempio, una guida per l’uomo, trovando in Lei quel legame assoluto tra passato, presente e futuro, traendo altresì una solenne lezione e renderLe un profondo omaggio di gratitudine.

Riemersa dal mondo sotterraneo, il silenzio che avvolge questi luoghi mi porta a fare una passeggiata tra pareti impervie e distese fittissime di boschi. Sarebbe un peccato andarsene dal Parco della Gola di Frasassi e della Rossa senza visitare piccoli gioielli che l’uomo, nei corsi dei secoli, ha costruito rendendo ancora più suggestivo questo angolo delle Marche.

Piccole chiese, monasteri nascosti, perle di borghi si sposano egregiamente con questi luoghi, accentuandone la profonda, direi innata, spiritualità. Vicinissima alle grotte, un anfiteatro di montagne sembra proteggere l’abbazia di San Vittore alle Chiuse,’un magnifico esempio di arte romanica del mille, a croce greca, inscritta in una pianta quadrata.

L’atmosfera discreta all’esterno sembra continuare ancora più intensamente all’interno, in una luce soffusa, passando tra alte e snelle colonne che sorreggono magnifiche volte a botte. Nell’antico cenobio del monastero benedettino un’amabile sorpresa è il piccolo Museo Speleopaleontologicoarchelogico di Frasassi, ricco di suggestivi reperti.

Pieno di fascino è il fossile di un rettile marino del giurassico, l’ittiosauro di Genga che, affettuosamente, per le sue sclerotiche ossee, per il lungo becco, è stato chiamato ” Marta”, ricordando la gallina Marta dei fumetti di Lupo Alberto; suggestiva la presenza di un teschio umano, pressochè integro, ritrovato nella Gola della Rossa; la presenza di urne cinerarie di Pianello di Genga, testimoni di una necropoli ad incenerazione del provillanovoano ci parlano di questa zona già fortemente antropizzata a quei tempi.

Uscendo da questa piccola chiesa, così umile, mi colpisce ancora un particolare, mai chiarito, il simbolo dell’infinito qui scolpito a lato di una delle porte d’ingresso. Piano piano mi allontano pensando che forse i Templari abbiano voluto lasciare la loro traccia esoterica, testimonianza del loro passaggio. Di lì a poco un gioiello di torre mi annuncia di essere in prossimità del fiume Sentino che oltrepasso grazie ad un delizioso ponte romanico; perfettamente intatto, sembra essere nato con il paesaggio tanto è armonico alla vista con il suo arco a tutto sesto da un lato, ad ogiva dall’altro. Tra queste meraviglie regna una tranquillità, una pacata serenità che vorrei “rubarne” un po’ per la mia vita di tutti i giorni! Non ho tempo per lasciarmi andare a questo malizioso, fantasioso pensiero che già intravedo, in lontananza, il borgo di Genga.

Percorrerlo tutto è un attimo tanto è piccolo, ma il tempo poi diventa più lungo perchè ogni scorcio è un’occasione per soffermarmi e non voler staccare gli occhi da strettissimi vicoli, tra austere case in pietra, dalle quali trasuda il fascino del vivere quotidiano di tempi remoti. Eppure le sorprese non terminano qui, perchè ancora una volta un museo in un piccolo borgo nascosto tra le pieghe recondite degli Appennini marchigiani, custodisce inaspettate opere d’arte, di valore immenso, espressione di un’arte minore, carica del vivere pulsante della società del tempo..Il sottotitolo “Dalla Venere di Frasassi alla Madonna col Bambino” riesce ad unire periodi storici lontanissimi tra loro solo per il tempo, ma non per il loro significato: l’esigenza dall’homo habils all’homo sapiens di esprimere i propri sentimenti, la propria devozione con un’espressione artistica che sia una statuetta ricavata da una stalagmite, che sia un blocco di marmo di Carrara che la Bottega del Canova riesce a trasformare in una mirabile, bianchissima Madonna col Bambino, che sia un un pittore, Il Sassoferrato, che dipinga un dolcissimo, meraviglioso trittico in cui risaltano i tratti soavi della Madonna nella sua regale umiltà.

La curiosità di andare a vedere la Grotta della Beata Vergine, luogo originario delle due sculture, l’aria frizzantina mi sospingono a camminare di buona lena, ma senza fatica. Vengo attratta da un cartello che indica una stradina, una di quelle che sembrano disegnate dai bimbi: si snoda tra un’alta parete rocciosa ed un bosco meraviglioso dove davvero i suoni della natura sono un gradevole sottofondo.

Valeva la pena percorrere la salita, un po’ ripida, ma agevole, se, passando sotto un delizioso arco, mi compare una vera perla. Sapevo della bellezza del Tempio del Valadier, custode degno della statua di canoviana scuola, ma mai avrei pensato di trovarlo così delizioso: un elegante ottagono neoclassico in travertino bianco che illumina il buio della grotta dove è perfettamente incastonato.

Rimango sorpresa, mi faccio mille domande perchè quel gioiello sia stato costruito proprio qui, in questo luogo recondito del mondo. Sono la storia e la leggenda che mi vengono in aiuto e mi informano che Papa Leone XII, nativo del paesino di Genga, abbia voluto rendere omaggio alla spelonca che assunse sempre più un significato importante, valicando tutti i tempi: le feroci scorrerie barbariche avevano seminato terrore tra gli abitanti che, ormai disperati, trovarono qui quel rifugio, quella salvezza che pensavano perduti.

Accanto un piccolo monastero, Santa Maria intra Saxa, costruito nella pietra, cattura la mia curiosità; umile nel suo aspetto discreto, essenziale al suo interno, mi fa capire meglio la vita di clausura di questo eremo benedettino.

Parla di un mondo difficile per noi solo da immaginare, quasi estremo dove una profondissima spiritualità diventava un tutt’uno con una natura purissima, direi casta. Mi soffermo ancora un po’ qui in una piacevole atmosfera di quiete assoluta che poi è la mia emozione a far diventare vibrante quando i ricordi di qualche tempo addietro mi portano al Museo Archelogico di Ancona dove rimasi affascinata da una statuetta dal significato profondissimo, la Venere di Frasassi.

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Grotte di Frasassi

Ora sono qui, dove un fotografo speleologo trovò, all’imbocco della grotta vera e propria che penetra nelle viscere della terra, quella scultura a tutto tondo di circa sette cm., scolpita in una stalagmite. Provai allora un senso di ammirazione, di tenerezza quando la vidi la prima volta, chiusa in una bacheca di cristalli. Ora si aggiunge commozione al solo pensiero che qui un essere di ventimila anni fa abbia potuto sentire l’esigenza di fissare, corposa nellle sue forme, con gli avambracci leggermente piegati, quasi nell’atto di una preghiera, l’immagine di una donna; eppure traspare una spiritualità così intensa che ancora, nell’atto di omaggiare il genere femminile, quell’Homo Habilis riesce a toccare, nel profondo, le nostre corde.

Dopo una breve visita alle benefiche terme di acque sulfuree, mi rendo conto che la sera è in arrivo. Sta volgendo al termine il mio breve viaggio di un giorno, ma non voglio abbandonare il Parco senza visitare nella Gola della Rossa, Sentinum: chiara la sua attinenza con il fiume, ma a molti non dirà pressochè nulla. Eppure è l’antico nome di Sassoferrato, teatro della “Battagia delle Nazioni” nel 295 A.C.. Una delle più cruente, ma anche delle più importanti battaglie della storia di tutti i tempi tra Etruschi, Sanniti, Umbri,Galli Senoni e l’esercito dei Piceni alleati con Roma. Astuta fin da allora nello studiare le stategie, la futura dominatrice del mondo fece in modo di attrarre Umbri ed Etruschi a difendere le proprie terre.

Dei Confederati italici rimasero così sul campo Sanniti e Galli Senoni, sopraffatti in uno scontro violentissimo, che determinò la supremazia di Roma sull’Italia centrale, e da lì la storia ci tramanda quanto decisiva fu quella vittoria. Sulle rovine dell’antica città romana, Sentinum, di cui rimangono splendide vestigia ,mosaici raffinatissimi, sinuose sculture, strade lastricate ancora perfette, sorse in una posizione più elevata, nascosto dai monti Cucco e Strega, Saxum Castrum Ferratum, feudo dei conti Atti. Il nome indica già l’impronta decisamente fortificata del borgo, abbellita dai suoi dominatori da abbazie come quella di Santa Croce edificata per i monaci camaldolesi: a pianta greca, è arricchita da capitelli longobardi, decorata mirabilmente da motivi geometrici, vegetali, scolpiti nel bianco del calcare. Passando tra questi vicoli, il tempo sembra fermo e così la chiesa romanica di San Francesco in conci bianchi ed un deliziososo portale ogivale sembrano portarmi al suo tempo, così come vengo proiettata nell’ottocento quando sono davaniri al palazzo Oliva.

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Tempio del Valadier

Entro incuriosita, contenta di averlo fatto perchè rimango meravigliata di fronte ad una raccolta magnifica di incisori marchigiani dal cinquecento in poi.

Curiosando ancora tra le sale, arrivo alla Civica Raccolta d’Arte, dove i dipinti, ricchi di ritratti senza tempo del pittore Salvi, il Sassoferrato, rendono questa raccolta davvero preziosa.

Vorrei ancora prolungare questa breve, troppo breve visita di Sassoferrato, dividendomi tra il Borgo ed il Castello, ma le ombre lunghe mi suggeriscono il ritorno con la promessa a me stessa che si ripete al termine di queste brevi visite, quella di ritornare ancora una volta, questa volta nel Parco di Frasassi e della Gola della Rossa.

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